Forze Armate, irragionevole l’aumento dell’età pensionabile previsto nella Legge di Bilancio

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Come ASPMI esprimiamo forte preoccupazione per le disposizioni contenute negli articoli 42 e 43 del testo della Legge di Bilancio, recentemente bollinato dalla Ragioneria dello Stato, che introducono un aumento dell’età pensionabile per il personale del comparto Difesa e Sicurezza.

Una norma che appare poco chiara nella formulazione ma che, se confermata nell’interpretazione più nefasta, risulta irragionevole nei contenuti e potenzialmente dannosa per l’efficienza complessiva del sistema.

Da una prima analisi, infatti, non è neppure chiaro se il legislatore abbia inteso intervenire sul requisito contributivo per il pensionamento anticipato, oggi pari a 41 anni di contributi (+ 12 + 3 mesi di finestra mobile) indipendentemente dall’età, oppure se si tratti di un aumento generalizzato che coinvolgerebbe anche i requisiti per la pensione di vecchiaia (60 anni per la maggior parte del personale), intervenendo così sul limite ordinamentale.

Quel che è certo è che l’articolo 42 introduce un incremento di tre mesi a partire dal 2027, cui si aggiungerà un ulteriore mese in virtù dell’adeguamento alla speranza di vita, e altri due mesi nel 2028, per un totale di sei mesi complessivi dal 2028. Un simile aumento, in un comparto già caratterizzato da un’età media elevata, è immotivato, oltre che pericoloso. Chiediamo pertanto al Governo di chiarire se l’intenzione sia realmente quella di mantenere in servizio personale sempre più anziano, con il rischio di bloccare il turnover e ritardare ulteriormente le assunzioni di cui le Forze Armate e i Corpi di Sicurezza hanno urgente bisogno.

Il personale prossimo al pensionamento, oltre ad avere una minore efficienza operativa, comporta costi maggiori rispetto al personale più giovane. In un momento storico in cui si guarda con preoccupazione agli scenari internazionali e si ipotizza addirittura la creazione di forze di riservisti, risulta pertanto contraddittorio che si scelga di mantenere in servizio personale ultrasessantenne anziché favorire il ricambio e il ringiovanimento del comparto.

Riteniamo quindi che questa norma, oltre a essere scritta in modo ambiguo, poggia su una ratio profondamente sbagliata. Infatti, anche se non venisse intaccato il limite di età per la pensione di vecchiaia, il solo aumento del requisito contributivo comporterebbe una penalizzazione evidente per il personale militare: avvicinandosi sempre più ai 43 anni necessari, il pensionamento “anticipato” perderebbe di fatto ogni significato, poiché la maggior parte del personale raggiungerebbe tale requisito in prossimità del limite ordinamentale, rendendo l’opzione dell’uscita anticipata del tutto inutile (eliminandola di fatto).

Trovano così fondamento le numerose critiche rivolte al Governo in tema di occupazione che aumenta sì ma soltanto per gli ultracinquantenni (perché vengono trattenuti al lavoro) e non per i giovani.

Come ASPMI chiediamo dunque al Governo e al Parlamento di rivedere urgentemente la norma, chiarendone la portata e valutandone gli effetti reali sul comparto Difesa e Sicurezza, affinché non si trasformi nell’ennesimo intervento punitivo per chi ogni giorno serve lo Stato.