Nella giornata di giovedì 26 giugno, abbiamo preso parte, come ASPMI, al primo incontro dell’area negoziale dedicata ai dirigenti delle Forze Armate. È stato un momento epocale e non abbiamo mancato di sottolinearlo: per la prima volta siamo stati ufficialmente seduti a un tavolo che ci permette di parlare di trattamento economico dirigenziale. Un passaggio storico, che apre prospettive nuove ma che, sin dall’inizio, ci ha mostrato tutte le difficoltà di un impianto normativo che non garantisce ancora reale equità.
Per ASPMI erano presenti il nostro Segretario Generale, Francesco Gentile, e il Tenente Colonnello Leonardo D’Elia, responsabile delle Relazioni istituzionali. Ed è bene rimarcare che siamo l’unico sindacato rappresentativo esclusivamente dell’Esercito a partecipare, insieme a USMIA, che tuttavia rappresenta l’area interforze.
Cosa è stato detto al tavolo
Fin dalle prime battute, abbiamo messo in evidenza quanto questo tavolo, pur importante, nasca su fondamenta disomogenee. Le regole di partecipazione, infatti, non sono uguali per tutti e già questo rappresenta una profonda distorsione.
Abbiamo voluto esordire ringraziando per l’opportunità concessa, consapevoli però che la cornice normativa in cui ci muoviamo è tutt’altro che uniforme. Lo abbiamo detto chiaramente: questo tavolo, pur rappresentando una conquista, non nasce in condizioni di parità rispetto a quello delle Forze di Polizia. Già dal principio, infatti, ci troviamo a dover fare i conti con una disparità normativa che penalizza le rappresentanze dei dirigenti dell’Esercito.
Nel dettaglio, mentre in altri ambiti, come quello delle Forze di Polizia appunto, il segretario generale può partecipare al tavolo anche se non ha un grado dirigenziale, nel nostro caso la normativa non lo consentirebbe. Un limite che svuota in parte il principio di rappresentanza stabilito dalla Legge 46 del 2022, la quale ha cercato di dare impulso alla nascita di sindacati realmente trasversali. Tuttavia, in pratica, ci ritroviamo ancora una volta con una legge che promette inclusione ma la cui attuazione nega proprio quel principio di equità su cui si dovrebbe fondare.
Abbiamo quindi richiesto di modificare la norma al fine di far partecipare il segretario generale all’area negoziale, una proposta avanzata con forza da Francesco Gentile e su cui hanno convenuto anche gli altri sindacati delle Forze di Polizia.
A tal proposito, nel corso dell’incontro si è parlato del percorso che dovremo affrontare. Dobbiamo accorpare i due trienni con la forza politica e aprire nell’immediato il nuovo triennio che consente di portare parità di trattamento economico accessorio tra il personale Dirigente e Contrattualizzato. Va fatto un cambio culturale puntando tutto sulla valorizzazione professionale dei dirigenti aprendo un focus su una indennità che valorizzi la specificità del ruolo dirigenziale.
Un accorpamento che implica non solo un lavoro tecnico molto complesso, ma anche la necessità di correggere storture che nel frattempo si sono aggravate. Ad esempio, abbiamo portato all’attenzione del tavolo un caso emblematico: quello di un Capitano che, una volta promosso Maggiore, si trova a dover restituire parte dell’indennità accessoria già percepita, poiché la normativa vigente non estende automaticamente quei benefici economici al nuovo grado. Una situazione paradossale e inaccettabile, che ci conferma quanto sia urgente riformare alla radice il sistema.
Un altro tema che abbiamo ritenuto imprescindibile portare all’attenzione del tavolo è quello riferito alla previdenza dedicata. In un contesto in cui si chiede sempre di più in termini di impegno, preparazione e flessibilità, è assurdo che non sia ancora stata avviata una seria riflessione su un impianto previdenziale che tenga conto della specificità delle carriere dirigenziali, dei tempi di permanenza nei gradi apicali e delle reali condizioni operative in cui ci troviamo a lavorare.
Abbiamo chiesto che questo tema venga affrontato con priorità e che si apra un confronto serio con la politica. Non si può continuare a considerare la previdenza come un aspetto accessorio: è parte integrante della dignità del lavoro e della visione che lo Stato ha dei propri dirigenti.
E ancora, servirà svincolare il reperimento dell’area negoziale dirigenziale dall’articolo 46, comma 3, ossia l’incremento Istat.
Serve un intervento della politica
Abbiamo quindi ribadito che la sede tecnica di confronto è fondamentale, ma non può essere l’unico livello di interlocuzione. Occorre che la politica si assuma le proprie responsabilità. Serve un impegno volto a finanziare le prerogative sindacali dei dirigenti, a partire da distacchi e permessi, che non devono gravare sul fondo destinato al rinnovo contrattuale, esattamente come già avviene per il personale contrattualizzato.
Abbiamo posto anche un altro nodo fondamentale: quello del trattamento economico del personale posto in distacco, fronte sul quale oggi non esiste alcuna chiarezza. Chi è distaccato non sa con certezza cosa percepirà, sa solo che non avrà diritto all’avanzamento di grado e che non riceverà l’assegno di funzione. Questo vuoto normativo è grave e danneggia non solo i sindacalisti, ma l’intero equilibrio del sistema di rappresentanza.
Infine, ci siamo riservati di elaborare e inviare una proposta organica, una piattaforma normativa da sottoporre alla Funzione Pubblica. Ma prima di ogni altra cosa, chiediamo trasparenza: vogliamo conoscere le tabelle di ripartizione delle risorse, capire come sono stati suddivisi i fondi tra i diversi trienni, verificare se le modalità di distribuzione sono state eque.
Abbiamo lasciato il tavolo con un messaggio che non lascia spazio a diverse interpretazioni: chi ha maggiori responsabilità e chi svolge funzioni più complesse deve essere messo nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro in modo dignitoso, e deve essere retribuito in modo adeguato. Il nostro compito è vigilare, proporre, insistere. Oggi abbiamo fatto il primo passo. Ma non sarà l’ultimo.