Quando la mano sinistra della Cassazione non sa cosa fa la mano destra

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È stata pubblicata in questi giorni una sentenza della Corte di Cassazione che sostanzialmente afferma che i benefici per le vittime del dovere si dovrebbero parametrare al solo valore IP, e non al valore IC comprensivo di danno biologico DB e danno morale DM – sistema che richiede l’applicazione della formula IC = DB + DM + (IP – DB) – dell’art. 4 Dpr 181/09.

Ciò perché, sostanzialmente dice la sentenza Sez. I 20290/25, in base alla lettura letterale delle norme che disciplinano i benefici, il riferimento espresso a percentuale di “invalidità permanente”  significherebbe applicare solo il valore IP, ed escludere necessariamente  la valutazione del danno biologico e morale, poiché questi concorrerebbero a formare, nella tesi della Cassazione, un valore diverso, quello di invalidità complessiva, a cui le norme concessive  dei benefici (assegni e speciale elargizione)  non fanno riferimento.

La sentenza in questione finisce per stravolgere, ignorandole, invece precise puntualizzazioni fornite dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione proprio in relazione al punto in questione.

Si deve ricordare che nel 2020 si era già assistito a una presa di posizione della Cassazione che aveva interpretato restrittivamente, escludendo nella generalizzata applicazione, i principi di quantificazione delle invalidità complessiva forniti dal D.p.r. 181 del 2009, che appunto portano a quantificare un valore denominato invalidità complessiva.

Anche in quell’occasione, la decisione della Cassazione non proveniva dalla Sezione Lavoro (competente trattandosi di materia assistenziale), bensì da altra Sezione (la III, in quel caso) che in precedenza ovviamente non si era mai occupata della problematica: stesso problema in questo caso, visto che la sentenza 20290/25 è anche qui della prima sezione.

In ambo i casi ciò deriva dal fatto che i due contenziosi erano stati introdotti con normale citazione, e non con deposito del ricorso alla Sezione lavoro.

La sentenza n. 20290/25 in questione  si limita a utilizzare una semplice argomentazione testuale, ossia l’impiego del termine invalidità permanente senza alcuna disamina della normativa speciale che è particolarmente complessa, e che era stata invece fatta dalle sezioni unite in occasione del ribaltamento dell’erronea principio fissato da Cass. Sez. III, 11101/20.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le sentenze gemelle 6214-6215-6216-6217/22 hanno infatti ricostruito accuratamente l’iter che ha portato agli attuali criteri di cui al D.p.r. 181 del 2009, descrivendo come, a fronte di norme che si riferivano appunto a invalidità permanente (in realtà nel senso di non temporanea) si fossero succeduti negli anni vari interventi normativi che di volta in volta avevano fissato le tabelle valutative, tramite le quali potesse essere effettuato il calcolo ai fini delle medesime leggi istitutive di benefici collegati a percentuale di invalidità permanente.

Dopo un lungo iter argomentativo, le Sezioni Unite sono arrivate a evidenziare il fatto che, in sostanza, i vari criteri normativi che di volta in volta  erano stati utilizzati per quantificare l’invalidità fossero stati abrogati nel 1999 senza alcuna sostituzione, rimanendosi dunque in attesa da quel momento di un nuovo corpo normativo che determinasse finalmente quali potessero essere i criteri.

Entrato poi in vigore l’articolo 6 comma 1 l. 206/04, che prefigurava nuovi criteri di valutazione delle vittime del terrorismo che comprendessero anche danno biologico e morale, oltreché l’evoluzione peggiorativa, si era assistito a una presa di posizione iniziale della giurisprudenza che aveva ritenuto erroneamente di limitare tali criteri valutativi a solo 10 persone in Italia, quelle cui, secondo un parere del Consiglio di Stato n. 2881/15 sarebbero stati riservati i metodi valutativi complessivi anche del danno biologico e morale, per il resto, dovendosi fare riferimento solo al valore in invalidità permanente (ciò ritenuto valere anche per  tutte le vittime del dovere e della criminalità organizzata).

Proprio tale posizione era stata ribaltata dalle Sezioni Unite, che dopo una ricostruzione giuridica molto approfondita, giungevano ad affermare il seguente principio:

“I benefici dovuti alle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, del dovere ed ai soggetti ad essi equiparati devono essere parametrati alla percentuale di invalidità complessiva, da quantificarsi con i criteri medico legali previsti dagli art. 3 e 4 del d.P.R. n. 181/2009″. 

Come si vede, tutti i benefici destinati alle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, ed del Dovere devono essere parametrati non alla percentuale di invalidità permanente IP, ma appunto all’invalidità complessiva.

La sentenza di Cassazione Sez. III 20290/25 in effetti non contiene alcun riferimento all’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, e dunque, in modo molto invero rudimentale, finisce per utilizzare un’interpretazione testuale che in realtà era ed è fallace, come appunto le Sezioni Unite hanno avuto modo di chiarire, peraltro solo grazie a un’accurata ricostruzione di una situazione normativa assai complessa, che doveva essere valutata nel suo insieme per poter meglio inquadrare la situazione.

Spiace che l’interessato destinatario della sentenza in commento finirà per essere uno dei pochissimi (l’altro è il destinatario della sentenza di Cassazione Sez. III, 11101/20) a doversi confrontare con un giudicato che gli preclude l’applicazione corretto dei metodi valutativi.

Ovviamente il consiglio del sottoscritto, che conosce bene la materia avendo ottenuto personalmente tre delle quattro sentenze delle sezioni unite chiarificatrici del punto (6214-6215-6216/22), è in primo luogo di avere attenzione a radicare il contenzioso davanti al giudice del lavoro, che è più informato in questa specifica materia (assistenziale) inoltre, prima di  impegnarsi in contenziosi di questo tipo, suggerisco di avere cura di informarsi sulla situazione giurisprudenziale più aggiornata, onde evitare di incorrere in brutte sorprese.

Autore Avv. Bava